La storia da raccontare comincia con un grande silenzio, rotto solo da colpi di cannone. Nel 1860 Pesaro è tra le cittadine del territorio nazionale che tentano di cambiare lo stato politico esistente per orientarsi  a governi più democratici e alla annessione ad un Paese unitario. Il Risorgimento a Pesaro è cruento come dappertutto. Il governo da scacciare è quello dello Stato Pontificio e in aiuto arrivarono le truppe piemontesi. Allora il Legato pontificio Tancredi  Bellà si rinchiude dentro Rocca Costanza con le sue truppe, che i pesaresi chiamano i “barbacani” ,  per resistere ai bombardamenti che piovono dalla cima del monte Ardizio, che si trova di fronte, e che colpiscono duramente le pareti di sud. I buchi si vedono ancora molto bene, ma è difficile immaginare possano essere dei tiri. 

Oggi infatti il monte non si vede più, coperto dalle tante case che sono state costruite, ma a quel tempo la traiettoria era libera e o piemontesi la sfruttanp.  Bellà spera che gli aiuti austriaci, loro alleati che si stanno riorganizzando ad Ancona, arrivino il prima possibile. Dentro la rocca sono tenuti  prigionieri tutti coloro che erano stati riconosciuti come cospiratori.

 Le donne di Pesaro organizzano una raccolta di fondi per le famiglie che hanno il loro capofamiglia in prigione, perchè essi sono lì  a lottare per una causa che accomuna tanti. In città c’è il coprifuoco, le persone tengono le finestre chiuse e il silenzio è pesante. Curioso il documento che attesta la serietà del momento: l’annuale  fiera di San Nicola è rimandata! 

E interessante anche l’avviso che esorta i pesaresi a starsene in casa e ignorare l’arrivo in città di Monsignor Lamoriciere, “ uomo senza carattere e vituperevole”.  Dopo tre giorni di attacchi, i piemontesi hanno la meglio e le truppe pontificie si arrendono. Il generale Cialdini entra in città. 

Rivolgendosi alle sue truppe dice: “ Vi conduco contro una masnada di briachi stranieri, che sete d’oro e vaghezza di saccheggio trasse nei nostri paesi. Combattete, disperdete, inesorabilmente quei compri sicari e per mano vostra sentano l’ira di un popolo che vuole la sua nazione, la sua indipendenza”.  Ad aprire la porta Rimini sono i medici dell’ospedale San Benedetto. Bellà e i suoi scappano e la gente scende in strada, esulta, i prigionieri tornano liberi, le fanfare suonano. La statua del papa Urbano VIII ( denominato “ el teston del pépa) viene abbattuta. Sembrava dispersa, ma nel 1972 è stata ritrovata nei magazzini comunali e sistemata nel cortile del museo Oliveriano. Il 12 settembre in nome del re d’Italia Vittorio Emanuele II, si costituisce la prima commissione municipale provvisoria, che entra subito in ufficio: è composta da Domenico Guerrini, Conte Giacomo Mattei, Dott. Giovanni Marangoni. 

Bellissime le immagini che immortalano quell’11 settembre 1860: il tiro e il contro tiro che si incrociano davanti alla città di Pesaro che sembra una scenografia. 

Oggi nessuno può leggere la storia appena raccontata guardando la parete della Rocca, se non chi la conosce. In altri punti della città, invece, rimangono segni chiari e indelebili di quanto accaduto: in fondo al corso XI settembre, dove si trova la lapide dedicata al garibaldino Francesco  Aiuti,  e sopra Porta Rimini ci sono lapidi che ricordano l’ingresso delle truppe in città e appena fuori i resti di palle sparate quel giorno e appese al muro  tengono viva la storia. I punti sono collegati, ma oggi questo legame non si legge più.

Pesaro era dentro un progetto di annessione che riguardava altre città, era proiettata al di fuori del suo territorio, ed era destinata a cambiare.